Guida alla procedura fallimentare:
Istanza di fallimento
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1-Istruttoria
Il fallimento può essere dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero, e non più d'ufficio dal tribunale.
Competente a decidere sul ricorso per la dichiarazione di fallimento è, a norma dell'art. 9 l.fall. il tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa, e lo stesso art. 9 specifica che "il trasferimento della sede intervenuto nell'anno antecedente all'esercizio dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza". In tal modo il legislatore ha posto una presunzione assoluta di fittizietà di tutti i trasferimenti di sede (presumibilmente anche quelli riguardanti un imprenditore non collettivo, altrimenti si verificherebbe una disparità di trattamento) attuati in detto periodo, a vantaggio della velocizzazione della procedura, ma a scapito della corrispondenza della situazione legale a quella effettiva.
Il procedimento per la dichiarazione di fallimento è camerale ed è stato dall'art. 15 analiticamente regolamentato, nel rispetto dei principi costituzionali del contraddittorio, della paritaria difesa del diritto alla prova. Attualmente la notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento, con il pedissequo decreto di convocazione del debitore, è "a cura di parte"; a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 179 del 2012, convertito nella legge n. 221 del 2012, a decorrere dall'1.1.2014, "Il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'articolo 107, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso. L' udienza è fissata non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso e tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni".
Come si vede, la notifica del ricorso decreto sarà effettuata in prima battuta dalla cancelleria all'indirizzo di posta elettronica del fallendo da reperire dal registro delle imprese o dal futuro Indice nazionale degli indirizzi di posta certificata delle imprese e dei professionisti, e, in caso di esito negativo, l'onere della notifica tradizionale viene ritrasferito al ricorrente.
Anche la notifica tradizionale a cura del ricorrente subirà modifiche rilevanti perché, nel caso non sia possibile la notifica di persona presso la sede risultante dal registro delle imprese, la nuova norma dispone che essa "si esegue con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso", senza distinguere tra destinatari persone fisiche e persone giuridiche (nel qual caso dovrebbe applicarsi l'art. 145 c.p.c.), né tra l'ipotesi in cui il recapito del notificato è noto ma sul luogo non si rinvengono persone alle quali consegnare il plico (nel qual caso dovrebbe applicarsi l'art. 140 c.p.c.), e quella prevista dall'art. 143, nel caso d'irreperibilità della persona fisica medesima; le nuove modalità richiamano inoltre da vicino quelle di cui all'art. 143 c.p.c., tuttavia la notifica si perfeziona immediatamente al momento del deposito dell'atto e non al ventesimo giorno successivo a quello in cui è eseguita detta formalità.
Nel corso della istruttoria prefallimentare il creditore istante può chiedere al tribunale di emettere provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, al fine di impedire che nelle more il patrimonio possa in qualche modo disperdersi. Detti provvedimenti hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e "vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza".
2-Soggetti fallibili
L'attuale legge pone il principio che sono soggetti al fallimento tutti gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e gli imprenditori agricoli, a meno che l'imprenditore commerciale non dimostri di possedere congiuntamente i tre requisiti indicati nelle lettere a), b), c), da cui si deduce che il creditore deve dimostrare, sotto il profilo soggettivo, soltanto che il debitore è imprenditore commerciale; spetta poi a quest'ultimo dimostrare di possedere i requisiti che impediscono la declaratoria di fallimento, di modo che se questi non riesce a fornire la prova di possedere tutti e tre detti requisiti è soggetto fallimento, il che vuol dire che il debitore imprenditore fallisce anche se rientra in uno solo dei tre parametri richiesti.
Alla luce dei nuovi criteri dimensionali si può dire che ora sono esclusi dal fallimento non più i piccoli imprenditori- nozione che si ricollega alle disposizioni di cui all'art. 2083 c.c. che era rimasto l'unico referente normativo dopo l'intervento della Corte Costituzionale del 1989 (Corte Cost. 22.12.1989 n. 570) sul secondo comma dell'art. 1 l.f.- ma gli imprenditori commerciali piccoli, che sono quelli c.d. sotto soglia, quelli, cioè che riescono a fornire la prova di rientrare nei parametri elencati nell'art. 1 l.f.
Gli imprenditori non fallibili che si trovino in una situazione di sovraindebitamento possono concludere un accordo con i creditori nell'ambito della procedura di composizione della crisi disciplinata dal D.L. n. 179 del 2012, convertito nella legge n. 221 del 2012.
Ancora oggi, pur dopo D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111, "... gli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli articoli 182 bis e 182 ter del regio decreto ...." (comma 43 dell'art. 23), ossia utilizzare la procedura di ristrutturazione dei debiti e servirsi, nell'ambito della stessa, della transazione fiscale ma non sono assoggettati al fallimento.
Non sono assoggettati a fallimento neanche i "consumatori", ossia i debitori persone fisiche che hanno assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, i quali in situazione di sovraindebitamento possono proporre un piano fondato sulle previsioni di cui al D.L. n. 179 del 2012 cit.
3-Decisione
Completamente modificato rispetto alla normativa previgente alla riforma, è il sistema impugnatorio, che, prima si articolava in una causa di opposizione a cognizione ordinaria di primo grado avanti al tribunale del luogo ove era stato dichiarato il fallimento, ora, in considerazione della regolamentazione garantista della fase dell'istruttoria prefallimentare, l'opposizione va reclamata direttamente alla corte d'appello che, nell'ambito della generalizzata cameralizzazione, provvede secondo un rito appositamente dettato per la fattispecie.
Rimane la provvisoria esecutorietà della dichiarazione di fallimento, ma, proposta l'impugnazione, può essere disposta la sospensione, in tutto o in parte, ovvero temporaneamente, della liquidazione dell'attivo.
La revoca della sentenza di fallimento elimina gli effetti della dichiarazione, che è come se non fosse mai intervenuta, ma restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura .
Le spese della procedura ed il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale, su relazione del giudice delegato, con decreto, che ora è reclamabile ai sensi dell'articolo 26.
La norma cui all'art. 18 l.fall., che detta tale disposizione, non dice a carico di chi vanno poste le spese e il compenso, ma l'art. 147 del PDR n. 115 del 2002 dispone che "In caso di revoca della dichiarazione di fallimento, le spese della procedura fallimentare e il compenso al curatore sono a carico del creditore istante, se condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa; sono a carico del fallito persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento".
Di conseguenze, il creditore istante è tenuto al pagamento delle spese e del compenso del curatore soltanto se condannato al risarcimento dei danni per avetr chiesto il fallimento con colpa.