Guida alla procedura fallimentare:
Ripartizione dell'attivo
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1-La procedura. Periodicità dei riparti
La ripartizione dell'attivo può sinteticamente definirsi come l'operazione diretta ad individuare quantitativamente e qualitativamente la parte del ricavato dell'attivo che viene assegnato ai creditori concorrenti e il numero e la misura in cui costoro vengono soddisfatti nel concorso fallimentare. Tale ripartizione non è, come nelle esecuzioni individuali, relegata al momento finale della procedura, ma proprio perché il fallimento è una procedura collettiva che ha al suo interno un procedimento per l'accertamento dei crediti, anteposta cronologicamente alla distribuzione del ricavato, è prevista la possibilità di riparti parziali per poi pervenire, alla fine della procedura fallimentare, al riparto finale, tutti retti dalle stesse regole. L'iniziativa è rimesso al curatore che ogni quattro, a partire dal decreto di esecutività dello stato passivo, "presenta un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle medesime, riservate quelle occorrenti per la procedura" (art.110).
Tale periodicità è in qualche modo collegata alla periodicità delle udienze per l'esame delle domande tardive (ogni quattro mesi a decorrere dal decreto di esecutività dello stato passivo, salvo che ricorrano motivi di urgenza, art. 101), in modo da far sì che si proceda ad un riparto ad ogni chiusura di stato passivo. La periodicità quadrimestrale è soltanto indicativa in quanto il riparto è condizionato dalla presenza di liquidità tali da rendere utile ed economica una distribuzione tra i creditori, ma avendola la norma fissata, il curatore, ove non abbia nulla da distribuire, dovrebbe comunque, ogni quattro mesi, presentare al giudice un progetto in cui espone la situazione delle disponibilità che non consentono una distribuzione e il giudice dovrebbe fissare un nuovo termine; nella prassi, in situazioni del genere, i curatori si limitano a non fare nulla e a presentare un progetto di riparto al momento in cui le disponibilità lo consentono, e non vi è motivo per ritenere che in futuro cambi qualcosa per il solo fatto che sia stata allungata la cadenza temporale.
2-La procedura. Dalla presentazione del progetto di riparto alla dichiarazione di esecutività
Il curatore, ogni quattro mesi a partire dalla data del decreto di esecutività dello stato passiv o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato, presenta un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle medesime, riservate quelle occorrenti per la procedura.
Secondo la originaria formulazione dell'art. 110 l.f., una volta presentato il progetto di riparto, il giudice delegato, prima di ordinarne il deposito in cancelleria, poteva, sentito il comitato dei creditori, intervenire sullo stesso apportando "le variazioni che ravvisa convenienti". Il progetto di ripartizione predisposto e presentato dal curatore, integrato dalle eventuali variazioni apportate dal giudice delegato, andava depositato in cancelleria, e l'avvenuto deposito andava comunicato, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento (in analogia a quanto stabilito dagli artt. 92 e 97 data l'identità della ragione), a tutti i creditori, in modo da consentire a ciascuno di essi di controllare la propria posizione ed instaurare un contraddittorio. Costoro, infatti, nel termine di dieci giorni dal ricevimento dell'avviso di deposito, potevano proporre osservazioni- che non avevano natura di impugnazione, nè costituivano condizione per il successivo reclamo e potevano essere presentate personalmente dai creditori senza l'assistenza di un legale- che venivano valutate dal giudice delegato. Questi, tenuto conto delle osservazioni mosse- e sempre nel limite già indicato per le variazioni della immodificabilità dello stato passivo- "stabilisce con decreto il riparto, rendendolo esecutivo". Avverso tale decreto era ammesso il reclamo ex art. 23, entro dieci giorni dal deposito del decreto stesso, che dava inizio ad un procedimento che si svolgeva nell'osservanza del principio del contraddittorio e si concludeva con un provvedimento motivato del tribunale, a sua volta ricorribile in Cassazione soltanto per violazione di legge ai sensi dell'art. 111 cost.
Questo sistema è stato completamente stravolto dalla risorma del 2006, ulteriormente modificato dal decreto correttivo del 2007 e da ultimo con il D.L. n. 179 del 2012, convertito nella legge n. 221 del 2012. Oggi, infatti, dopo la presentazione del progetto di riparto, il giudice delegato non può più apportare variazioni- probabilmente può intervenire ove vi siano violazioni di legge essendo egli tenuto ad una verifica sulla regolarità della procedura- e si limita ad ordinarne il deposito in cancelleria, senza più sentire il comitato dei creditori, contemporeanemnete disponendo che a tutti i creditori, compresi quelli per i quali è in corso uno dei giudizi di cui all'articolo 98, ne sia data comunicazione mediante l'invio di copia a mezzo posta elettronica certificata. I creditori, quindi, non riceveranno più la comunicazione cartacea dell'avvenuto deposito in cancelleria del progetto di riparto, ma riceveranno copia dello stesso, che comunque potranno consultare anche dal presente sito; ed, entro il termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione di detta comunicazione, potranno proporre reclamo al giudice delegato contro il progetto di riparto ai sensi dell'art. 36. I creditori, pertanto, non potranno più proporre osservazioni, come potevano fare in passato, ma soltanto impugnare il progetto di riparto, che, essendo un atto del curatore, può essere reclamato soltanto ai sensi dell'art. 36, che consente il reclamo soltanto "per violazione di legge", per cui è esclusa ogni indagine e decisone nel merito.
Una volta decorso il termine per il reclamo, il giudice delegato, su richiesta del curatore, dichiara esecutivo il progetto di ripartizione, che ci siano stati o non reclami, con la differenza che, in questo secondo caso, deve provvedere all'accantonamento delle somme corrispondenti ai crediti oggetto di contestazione.
3-La procedura. Le attività successive alla dichiarazione di esecutività
Dichiarato esecutivo il riparto, il curatore- a norma del primo comma dell'art. 115- "provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modi stabiliti dal giudice delegato, purché tali da assicurare la prova del pagamento stesso".
Le somme destinate ai creditori che non si presentano (a ricevere il materiale pagamento, nei casi in cui il curatore, ad esempio, invece di spedire gli assegni, inviti gli interessati a ritirali nel proprio studio) o che sono irreperibili vanno nuovamente depositate presso l'ufficio postale o la banca già indicati ai sensi dell'articolo 34- dispone il nuovo penultimo comma dell'art. 117, in attesa che i beneficiari si facciano vivi. Nulla è detto circa le modalità con cui il creditore irreperibile all'epoca della esecuzione del riparto che lo interessava possa ottenere l'assegnazione della somma che gli spettava, quando nel frattempo il fallimento è stato chiuso. E' presumibile che permanga l'ultrattività degli organi fallimentari in presenza di accantonamenti e depositi, per cui ad essi, benché cessati per il resto, il creditore può rivolgersi; non vi è motivo, comunque, per non prendere in esame una istanza rivolta al tribunale, al presidente dello stesso o della sezione fallimentare, che o richiama il precedente giudice delegato o ne nomina uno nuovo che provvederà allo svincolo e all'emissione del mandato ex art. 34, alla cui esecuzione verrà incaricato l'ex curatore
L'attesa è limitata a cinque anni; decorso tale periodo, le somme non riscosse e i relativi interessi, "se non richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, sono versate a cura del depositario all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, ad apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia" (art. 117, comma quarto). Decorsi invano i cinque anni dal deposito, i beneficiari principali delle somme non riscosse diventano, quindi, gli altri creditori che ne facciano richiesta, tra i quali soltanto, secondo la nuova disposizione dell'ult. comma dell'art. 117, questa residua liquidità va distribuita, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, nel rispetto delle cause di prelazione; ossia non tutti i creditori rimasti insoddisfatti partecipano a questa distribuzione suppletiva ma soltanto coloro che ne abbiano fatto richiesta; e, poiché non si sa come i creditori possano conoscere l'esistenza di questo tesoretto, abbiamo suggerito, parlando della domanda di insinuazione, di inserire già nella stessa di voler partecipare a questa distribuzione suppletiva, salvo poi a stabilire chi debba tenere nota di queste domande e debba poi, alla scadenza dei cinque anni dal deposito e chiuso il fallimento, prendere l'iniziativa per attuare il riparto tra coloro che anni prima avevano chiesto di voler partecipare alla distribuzione delle somme non riscosse dai creditori irreperibili.
In via subordinata, in mancanza di richieste da parte dei creditori nel termine indicato di cinque anni, le somme residue non riscosse vanno allo Stato per essere riassegnate al Fondo Unico Giustizia.
Tale regolamentazione è contenuta nell'art. 117, che si riferisce ai riparti finali, per cui rimane il dubbio se sia applicabile anche ai riparti parziali. probabilmente no, nel senso che, decorsi cinque anni da un riparto parziale, se il fallimento è ancora aperto le somme accantonate rientrano nell'attivo da distribuire con i successivi riparti, includendo negli stessi ancora i creditori irreperibili, che non sono stati soddisfatti, fino ad arrivare al riparto finale.
4-La procedura. La stabilità dei riparti
"I pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti, salvo il caso dell'accoglimento di domande di revocazione"; questa è la chiara dizione dell'attuale art. 114 che afferma il principio della immutabilità o della stabilità dei riparti posto che le attribuzioni effettuate non possono essere ripetute. L'unica eccezione è costituita dall'ipotesi che sia stata accolta la domanda di revocazione di un credito ammesso, che, eliminando con effetto retroattivo il titolo giustificativo della partecipazione alla ripartizione in forza della collocazione nello stato passivo, rende il pagamento come indebitamente effettuato. Ed è a questa eccezione che si riferisce il secondo comma quando precisa che "i creditori che hanno percepito pagamenti non dovuti, devono restituire le somme riscosse, oltre agli interessi legali dal momento del pagamento effettuato a loro favore", proprio perché dalla revocazione del credito ammesso è derivata la inefficacia ex tunc del titolo che giustificava la partecipazione al riparto. La stabilità opera all'interno della procedura, nel senso che, in pendenza di fallimento, non consente al curatore di rimettere in discussione le ripartizioni già eseguite in favore dei creditori, ma si estrinseca anche all'esterno impedendo, pur dopo la chiusura del fallimento, che il fallito, tornato in bonis, possa rimettere in discussione gli esiti della ripartizione, se ciò fosse possibile, infatti, si avrebbe una alterazione dei risultati cui la procedura è pervenuta attraverso una attività che, anche se non ha visto una partecipazione attiva del fallito, ha impegnato gli organi a ciò deputati; alterazione che non pregiudicherebbe soltanto il creditore interessato dall'azione di ripetizione, ma il sistema concorsuale perché si consentirebbe al fallito di beneficiare dell'attivo che, qualora non vi sia stata la soddisfazione integrale di tutti i creditori, sarebbe spettato appunto agli altri creditori insoddisfatti.
5-I creditori che partecipano ai riparti
La predisposizione di un riparto, sia esso parziale che finale, richiede un lavoro preparatorio non indifferente da parte del curatore che deve, da un lato, rapportarsi allo stato passivo per individuare i creditori concorrenti per poi effettuare la graduazione tra loro, dall'altro deve collegarsi alla liquidazione dell'attivo per determinare il ricavato ottenuto nonché alla gestione della procedura per detrarre le spese, in modo da individuare il netto distribuibile ai creditori, ed, infine, deve seguire la procedura dettata dalla legge per arrivare a rendere esecutivo il progetto di ripartizione, per poi passare a darvi esecuzione.
Il primo passaggio consiste, quindi, nell'individuare i soggetti che partecipano al riparto ed è chiaro che, per il rapporto di vincolatività che lega il riparto alle risultanze dello stato passivo, possono partecipare alla ripartizione soltanto i creditori che risultano dallo stato passivo dichiarato esecutivo. Non partecipano ai riparti i creditori esclusi dal passivo, benché abbiano proposto opposizione; i creditori che hanno presentato domanda tradiva di accertamento i quali, una volta ammessi, partecipano- come già rdetto parlando di questa categoria- soltanto ai piani di riparto successivi alla loro ammissione, con esclusione delle percentuali che i creditori tempestivi di pari grado hanno ricevuto in precedenti riparti, a meno che non si tratti di creditori muniti di titolo di prelazione o di chirografari insinuati tardivamente per causa a loro non imputabile. In sostanza, i creditori tardivi esclusi dal passivo, così come quelli tempestivi esclusi, non possono partecipare al riparto, finchè non intervenga un decreto modificativo del tribunale in sede di opposizione, a sua volta definitivo, salva la possibilità, prevista per gli opponenti che si trovino nelle condizioni di cui ai nn. 2 e 3 del primo comma dell'art. 113, di essere nel frattempo tutelati con accantonamenti. Anche i creditori ammessi con riserva hanno diritto all'accantonamento; essi, infatti, vengono considerati nel riparto e viene ad essi attribuita la quota risultante, ma l'importo dovuto non viene pagato, ma accantonato su un libretto, in attesa dello scioglimento della riserva, che, come già detto parlando dell'ammissione con riserva, oggi può avvenire in modo molto con un provvedimento del giudice delegato, su istanza della parte interessata o del curatore. Il provvedimento del giudice di ammissione in via definitiva consente al creditore riservatario di acquisire gli accantonamenti in suo favore effettuati in occasione di precedenti ripartizioni e di partecipare liberamente ai successivi riparti.
Come è noto, nelle successioni a titolo universale si attuta il trasferimento del credito e del privilegio in capo all'erede, dal momento che questi assume nella totalità dei rapporti in cui succede la stessa posizione, attiva o passiva, del suo dante causa; eguale trasferimento si attua nelle successioni a titolo particolare per cessione del credito, per la quale l'art. 1263 c.c. stabilisce che "per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e con gli altri accessori"; nei trasferimenti del credito per surrogazione convenzionale (artt. 1201 e 1202 c.c.) o legale (art. 1203 c.c.), nella quale si realizza non già una modificazione soggettiva dello stesso rapporto, ma una diversa situazione in cui un terzo, estinto il credito dell'originario creditore- che normalmente determina l'estinzione del privilegio- fa valere, in nome e nell'interesse proprio, quel credito con i privilegi che lo assistevano. Quando queste modifiche si verificano dopo che il creditore originario è stato ammesso al passivo e prima della ripartizione, il secondo comma dell'art. 115 stabilisce che il curatore attribuisca "le quote di riparto ai cessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l'intervenuta cessione. In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo". E' stato poi aggiunto, con il decreto correttivo del 2007, che le stesse disposizioni si applicano in caso di surrogazione.
6-La determinazione della somma da ripartire. I conti speciali
Insieme al progetto di riparto il curatore deve presentare al giudice delegato "un prospetto delle somme disponibili", che non è altro che la rappresentazione del complessivo ammontare delle somme entrate, della provenienza delle stesse, di quelle erogate per spese della procedura, di pagamenti fatti, del saldo attivo del conto bancario, la somma che si intende ripartire, ecc., da cui bisogna partire per individuare qual'è il netto distribuibile ai creditori.
Fondamentale allo scopo è la distinzione fatta nell'art. 111ter, tra massa liquida immobiliare ("costituita dalle somme ricavate dalla liquidazione dei beni immobili, come definiti dall'articolo 812 c.c., e dei loro frutti e pertinenze, nonché dalla quota proporzionale di interessi attivi liquidati sui depositi delle relative somme") e quella mobiliare ("costituita da tutte le altre entrate"), perché esistono prelazioni che operano soltanto sul ricavato immobiliare (ipoteche e privilegi immobiliari), altre che operano soltanto sul ricavato mobiliare (pegni e privilegi mobiliari), e altre ancora che operano prima su una massa e, in via sostitutiva, sull'altra (i privilegi mobiliari con garanzia sussidiaria sugli immobili), per cui, alla fin fine, la distinzione viene meno soltanto quando si coinvolgono i creditori chirografari, tali fin dall'inizio o divenuti tali a seguito di incapienza sul bene oggetto della garanzia speciale.
Per stabilire poi come le spese della procedura gravano sulle due masse e sui singoli beni che le compongono, "il curatore deve tenere un conto autonomo delle vendite dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale e di ipoteca e dei singoli beni mobili o gruppo di mobili oggetto di pegno e privilegio speciale, con analitica indicazione delle entrate e delle uscite di carattere specifico e della quota di quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale" (comma terzo art. 111 ter). Sono questi i conti speciali, dai quali il curatore non può prescindere in presenza di prelazione di carattere speciale (ipoteca, pegno, privilegio speciale) perchè, dovendo essere queste soddisfatte esclusivamente col ricavo del bene gravato, diventa indispensabile individuare il netto distribuibile di detti beni. Per arrivare a questo, il curatore deve detrarre dal ricavato di ciascun bene gravato spese specifiche relative allo stesso (le spese di conservazione e amministrazione, di custodia, di riparazione, di stima, le spese per la pubblicità e la vendita, per la cancellazione di iscrizioni e trascrizioni, per oneri fiscali inerenti sul bene, per spese legali rilascio del bene, per la prosecuzione di procedure immobiliari in corso o per intervento in procedura continuata da creditore non soggetto al divieto di cui all'art. 51 l.f., ecc.) e una quota delle spese generali (le spese necessarie per lo svolgimento delle varie fasi della procedura cui sono tenuti gli organi della procedura, di modo che vi rientrano le spese per il compenso al curatore ed eventuali coadiutori, per rimborso comitato dei creditori, per l'apposizione dei sigilli, per compenso cancelliere per l'inventario, per le comunicazione ai creditori- quelle finalizzate alla formazione del passivo all'esecutività del riparto, ecc.-, per la redazione delle relazioni e dei rapporti, del rendiconto, per la chiusura della procedura, nonchè le spese del giudizio per reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento, per il sussidio al fallito, ecc.) ,da imputare proporzionalmente tra i vari beni.
La funzione dei conti speciali è quindi determinate per i creditori, in quanto costituiscono il modo più trasparente per consentono di individuare il ricavato netto di ciascun bene da attribuire a ciascun creditore con prelazioni speciali su di esso; esigenza questa che trova attuazione, sia nella fase di rendiconto, attraverso l'esatta imputazione delle spese (con il calcolo delle spese specifiche e la quota di quelle generali gravanti sui singoli beni oggetto di preferenza speciale) inerenti a ciascuno bene, ove i creditori possono fare osservazioni, sia nella fase dei riparti, ove, per il principio della unicità e tassatività della graduazione, il curatore, dopo aver individuato il netto distribuibile al momento dell'inizio della distribuzione, deve calcolare tale netto ogni volta che incontra una prelazione speciale, nell'ambito dello stesso riparto o nei riparti successivi, detraendo la quota del ricavato di quel bene utilizzato per il pagamento dei creditori con preferenza di grado anteriore sullo stesso bene, e- in caso di riparti mobiliari- la quota del ricavato di quel bene attribuita anche ai privilegiati generali di grado anteriore sulla massa attiva mobiliare, della quale fa parte anche il singolo bene gravato.
7-La determinazione della somma da ripartire. Gli accantonamenti
Individuate le masse mobiliari e immobiliari e, all'interno di queste, da un lato, i beni gravati da prelazioni specifiche che, entrando nei conti speciali, sono soggetti ad una analitica ed individuale contabilità con l'imputazione delle spese specifiche e parte di quelle generali, e dall'altro, i beni non gravati da garanzie specifiche, che possono essere considerati come un'unica submassa che assorbe complessivamente le altre spese, viene determinato il netto disponibile per il riparto. Questo dato non individua ancora la somma distribuibile nei riparti parziali, perché l'attuale primo comma dell'art. 113 stabilisce che le ripartizioni parziali non possono superare l'80% delle somme da ripartire, al fine di assicurare il pagamento delle spese future, intese nel senso più ampio. Non vanno altresì distribuite, a norma dell'lt. comma dell'art. 113, le "somme ricevute dalla procedura per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato", che vanno "trattenute e depositate nei modi stabiliti dal g.d.", per evitare la ripartizione di somme della cui disponibilità non vi è certezza in quanto acquisite in forza di un provvedimento provvisoriamente esecutivo, che può essere modificato, nel mentre non possono essere ripetute le somme già ripartite, come detto trattando della stabilità dei riparti.
Del tutto diversi da questi accantonamenti sono quelli che attengono le quote assegnate di cui ai numeri da 1 a 4 dell'art. 113, perché questi non riducono la somma distribuibile, ma al contrario, la somma va assegnata ai creditori beneficiari compresi nel riparto, solo che invece dell'attribuzione materiale della somma in pagamento che loro spetterebbe, viene fatto l'accantonamento per l'importo corrispondente; su questi, quindi, si crea un vincolo di destinazione in favore dei creditori beneficiari, che ne potranno ottenere il pagamento al momento del venir meno dell'impedimento che non ne aveva consentito il pagamento al momento del riparto. E' pur vero che, nella prassi, l'accantonamento viene realizzato soltanto in modo contabile, nel senso che l'importo da pagare non viene versato su un libretto in favore dei beneficiari (come sarebbe corretto fare), ma rimane sul conto corrente intestato al fallimento e non distribuito, ma si tratta, appunto di prassi che in tanto può essere consentita in quanto non inficia la cautela approntata in favore dei creditori interessati.
Questi accantonamento competono:
1)-ai creditori ammessi con riserva;
2)-ai creditori opponenti a favore dei quali sono state disposte misure cautelari;
3)-ai creditori opponenti la cui domanda è stata accolta ma la sentenza non è passata in giudicato;
4)-ai creditori nei cui confronti sono stati proposti i giudizi di impugnazione e di revocazione.
8-La individuazione dei creditori da soddisfare. Le prededuzioni
Determinato il netto distribuibile mobiliare e immobiliare e, all'interno di questo, il netto distribuibile di ciascun bene oggetto di garanzie specifiche, il curatore che si accinge a presentare un progetto di riparto, deve individuare i creditori beneficiari.
I primi creditori da prendere in considerazione sono, tra quelli risultanti dallo stato passivo, i creditori prededucibili, dato che, a norma dell'art. 111, le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo vanno distribuite primariamente a costoro; e proprio in questa caratteristica si esaurisce il senso della prededucibilità. Ovviamente al riparto partecipano i creditori prededucibili ammessi, con tale qualifica, allo stato passivo, e questa, per tale categoria di creditori non è una via obbligata in quanto, per il disposto del primo comma dell'art. 111bis, sono esclusi dall'accertamento i crediti prededucibili "non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio provvisorio, e quelli sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti nominati ai sensi dell'art. 25" i quali ultimi, "se contestati, devono essere accertati con il procedimento di cui all'art. 26". I crediti prededucibili sorti nel corso del fallimento che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare, vanno, quindi, soddisfatti ai di fuori del procedimento di riparto, su autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato, al momento della scadenza, sempre che, precisa il terzo comma dell'art. 111bis, l'attivo sia presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Se, infatti, l'attivo è insufficiente anche al pagamento delle prededuzioni, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge; ossia non va seguito il criterio cronologico (pagamento man mano che scadono i crediti) né proporzionale tra tutti, ma va ripescato l'eventuale rango privilegiato loro attribuito in virtù della causa del rapporto da cui derivano, sicchè si effettua una graduazione tra i vari crediti prededucibili al fine di stabilire la priorità all'interno di questa categoria.
Ritornando al riparto, per l'attuale secondo comma dell'art. 111bis, "i crediti prededucibili vanno soddisfatti per il capitale, le spese e gli interessi con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti". Da tale norma sembra di capire che il ricavato dei beni oggetto di pegno e ipoteca subisce la detrazione delle spese specifiche e della quota di spese generali, ma non partecipa al pagamento degli altri crediti in prededuzione, per il pagamento dei quali vanno usate le liquidità ricavate dagli altri beni, secondo un criterio proporzionale, che costituisce l'unico meccanismo oggettivo ed equo per salvaguardare le posizioni dei creditori da soddisfare successivamente, e già utilizzato dal legislatore nei conti speciali per la distribuzione delle spese generali sull'intero ricavo.
9-La individuazione dei creditori da soddisfare. I privilegi
I privilegi sono cause legali di prelazione perché sono concessi dal legislatore (le parti cioè non possono creare un privilegio) in ragione della causa del credito, e la rilevanza riconosciuta dalla legge a determinati crediti esclusivamente in base alla loro causa, determina che anche la priorità di un privilegio rispetto all'altro sia determinata dalla legge, in ragione della meritevolezza della tutela che intende accordare, per cui se,m ad esempio, il legislatore ha ritenuto meritevole di tutela il lavoratore subordinato più di un professionista attribuendo al primo nella scala della tassativa graduazione una posizione prioritaria, vuol dire che il dipendente deve essere soddisfatto prima del secondo e deve essere soddisfatto per intero prima di poter passare, ove vi siano ancora disponibilità, al pagamento del professionista, altrimenti si lascerebbe ai privati la possibilità di sovrapporre una propria valutazione a quella fatta dal legislatore in ragione della causa del credito. Una tale conclusione ha trovato piena conferma nell'art. 111 quater, che nel codificare principi che già erano desumibili dall'ordinamento, ha stabilito che i crediti assistiti da privilegio generale hanno diritto di prelazione sul ricavato "dalla liquidazione del patrimonio mobiliare, sul quale concorrono in un'unica graduatoria con i crediti garantiti da privilegio speciale mobiliare, secondo il grado previsto dalla legge" (e qui sarebbe da aggiungere anche con i creditori pignoratizi) e che i crediti garantiti da ipoteca e pegno e assistiti da privilegio speciale hanno diritto di prelazione "sul ricavato dai beni vincolati alla loro garanzia e concorrono, per quanto ancora loro dovuto, con i crediti chirografari nelle ripartizioni del resto dell'attivo". La norma, come si vede, è chiara e inequivoca nell'affermare la duplicità delle masse- una mobiliare ed una immobiliare- nonchè la tassatività delle cause di prelazione e, quindi, la unicità della graduatoria tra le prelazioni- sia tra loro eterogenee (pegno, ipoteca e privilegi) che all'interno di una di esse- che su ciascuna massa possono esercitarsi. Il che si può riassumere dicendo che tanto i crediti assistiti da privilegio generale, quanto quelli assistiti da privilegio speciale o pegno sui mobili, ovvero da ipoteca o privilegio speciale sugli immobili, concorrono sul patrimonio, rispettivamente mobiliare e immobiliare, del debitore in un'unica graduatoria, secondo la collocazione ed il grado previsti dalla legge per ciascuna massa.
La unicità e tassatività della graduatoria per ciascuna massa, mobiliare o immobiliare, implicano l'affermazione di altri due principi, che si ritrovano nella nuova norma sopra richiamata:
a-il creditore privilegiato di grado anteriore, abbia egli un privilegio generale o speciale, va soddisfatto sempre prima di un creditore di grado inferiore e di conseguenza, non può procedersi al pagamento di un creditore di grado inferiore se prima non è stato integralmente soddisfatto il creditore di grado anteriore; diversamente la graduatoria data dalla legge per risolvere i conflitti tra creditori perderebbe il suo scopo;
b- la funzione del privilegio nel fallimento è unica, indipendentemente dalla natura dello stesso, generale o speciale, e, tra questi ultimi, dalla distinzione tra possessuale o non, convenzionale o legale. Le caratteristiche di questi tipi di privilegio incidono sull'oggetto, sulla efficacia o sulle modalità della nascita della causa di prelazione, ma non sulla graduazione, perchè tutti i privilegi operano nella fase esecutiva, esaurendo la loro primaria funzione prelatizia in sede di distribuzione del prezzo e, perciò, la specialità, la convenzionalità o la possessualità non valgono a creare una contrapposizione concettuale tra privilegi speciali e generali nell'ambito del concorso, ove tutti- accordati dalla legge in considerazione esclusivamente della causa del credito- svolgono una funzione di prelazione.
Dopo l'apertura del concorso, quindi, la differenza tra privilegio generale e speciale è che il primo consente di contare per la sua soddisfazione preferenziale sull'intero patrimonio mobiliare del debitore fallito, nel mentre il privilegio speciale, data l'inerenza ad un bene, attua una situazione di prelazione ad estensione oggettiva più limitata rispetto al privilegio generale, in quanto il ricavato del bene vincolato segna il limite della sua partecipazione preferenziale. Tuttavia tanto i crediti assistiti da privilegio generale, quanto quelli assistiti da privilegio speciale concorrono sul patrimonio mobiliare del debitore in un'unica graduatoria, secondo la collocazione ed il grado previsti dalla legge. Ma se tutti i privilegi mobiliari concorrono secondo l'unica tassativa graduatoria su una unica massa, questo vuol dire che i pagamenti fatti ai creditori privilegiati generali non vanno imputati soltanto al ricavato dei beni mobili su cui non gravino privilegi speciali, ma vanno imputati indistintamente su tutta la (unica) massa attiva costituente il ricavato mobiliare, in modo che il residuo potrà essere corrisposto ai creditori privilegiati successivi, generali o speciali, col limite, per i creditori privilegiati speciali, di non poter percepire più di quanto ricavato dal bene oggetto della garanzia, data la particolare inerenza del loro credito rispetto al bene vincolato al soddisfacimento dei medesimi. Non è concepibile, in altre parole, una suddivisione della massa attiva mobiliare in sottomasse, costituite dai beni oggetto delle prelazioni speciali, perchè vi è in ogni concorso un'unica massa mobiliare ed un un'unica graduatoria, che è quella contenuta negli artt. 2777 e 2778 c.c. che costituisce il sistema da seguire per risolvere i conflitti tra tutti i tipi di privilegi, con le integrazioni dettate dalle norme di chiusura sulla materia (artt. 2750, 2777 comma 3°, 2783).
Questo sistema fa sì che quando si arriva al pagamento di un privilegiato speciale, poichè anche il ricavato dei beni oggetto di quel privilegio speciale è confluito nella massa mobiliare che viene utilizzata per il pagamento di tutti i privilegiati mobiliari anteriori, a quel creditore sarà attribuita la somma che residua del ricavato del bene oggetto del privilegio speciale, al netto della parte utilizzata per il pagamento dei creditori di grado anteriore, per cui egli non potrà mai percepire più del netto ricavato dal bene interessato dalla prelazione speciale, anche se vi sono altre disponibilità.
Non a caso, il legislatore ha previsto e regolamentato anche i conti speciali, la cui tenuta si ricollega, oltre che alla rendicontazione e alla individuazione del netto distribuibile al momento dell'inizio della distribuzione, anche alla necessità di individuare il netto disponibile (proprio nel rispetto dei principi della unicità e tassatività della graduazione di cui si è detto) ogni volta che si incontra una prelazione speciale, nell'ambito dello stesso riparto o nei riparti successivi, detraendo dal ricavato di quel bene, dopo le iniziali spese, la quota utilizzata per il pagamento delle prededuzioni e quella utilizzata per il pagamento dei privilegiati generali di grado anteriore.
Più del netto, così determinato, non si può dare al privilegiato speciale, per cui, dire che, quando vi sono altre disponibilità, il privilegiato speciale può recuperare da queste la parte non soddisfatta con l'attribuzione del netto ricavato dalla vendita del bene oggetto del privilegio speciale, significa o estendere il privilegio speciale oltre i limiti dell'oggetto su cui grava o sottrarre il bene gravato da privilegio speciale dalla massa unica per tenerlo indenne dai pagamenti dei creditori precedenti. Entrambe queste soluzioni cozzano contro i principi posti dalla legge, e da sui si è partiti, della unicità della massa mobiliare, della tassatività della graduatoria di legge e della portata oggettiva del privilegio speciale.
10-La individuazione dei creditori da soddisfare. I privilegi sussidiari
I privilegi sono generali e speciali ed i primi sono soltanto mobiliari,m nel senso che si esercitano sull'intero ricavo mobiliare. Ad alcuni di questi è riconosciuta anche una collocazione sussidiaria sul ricavato immobiliare, qualora non ci sia capienza sui mobili.
Ovviamente, l'infruttuosa esecuzione sui mobili che legittima la collocazione sussidiaria deve tenere conto dell'ordine dei privilegi, nel senso che non si può attribuire il ricavato mobiliare ai creditori privilegiati senza collocazione sussidiaria e assegnare a questi ultimi il ricavato immobiliare, bensì bisogna distribuire il ricavato mobiliare tra i privilegiati, secondo la graduazione fatta dalla legge, indipendentemente dall'attribuzione ad alcuni di essi di un privilegio sussidiario; con possibilità per questi ultimi, nel caso non trovino capienza sul ricavato mobiliare, di trovare collocazione sussidiaria su ciò che residua dal ricavato degli immobili, dopo aver soddisfatto i creditori privilegiati immobiliari e ipotecari.
I privilegi sussidiari sono quelli indicati nell'art. 2776 c.c., che dà anche un ordine della collocazione. Al primo posto sono messi i crediti relativi al trattamento di fine rapporto e all'indennità di mancato preavviso, al secondo gli altri crediti dei dipendenti, quelli di cui all'art. 2751 (crediti per spese funebri, di infermità, alimenti) e quelli di cui all'art. 2753 (i crediti per contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori) e al terzo i crediti di cui al terzo comma dell'art. 2752 (crediti dello Stato per IVA)